Positivismo, Naturalismo e Verismo

di Erik Lazzari

Positivismo, Naturalismo e Verismo

Positivismo

Negli ultimi decenni dell’Ottocento ci fu uno sviluppo industriale e tecnologico che alimentò un nuovo movimento filosofico e culturale: il Positivismo. Il Positivismo nacque in Francia e si diffuse in tutto il globo, in particolare modo in Inghilterra.
Tale cultura si fondava sulla convinzione che la realtà fosse un qualcosa di “oggettivo” e pertanto misurabile.
Il nuovo movimento riprendeva lo sviluppo della cultura illuministica del Settecento, che già esaltava l’utilità delle scienze esatte, delle discipline pratiche (economia e amministrazione dello Stato) e della tecnica.
Un secolo dopo, il Positivismo esaltò le scienze sperimentali e la relazione tra scienza, tecnologia, produzione industriale e benessere collettivo. Questa corrente sottolinea che è fondamentale spiegare i “fatti”, cioè i fenomeni osservabili, attraverso delle precise leggi che devono essere sottoposte a verifica mediante il metodo scientifico.
Le scienze sperimentali, dunque, dovevano essere estese a qualunque forma di sapere, comprese le scienze umane (psicologia e sociologia) che si stavano definendo in quegli anni.

La concezione del progresso

Il Positivismo fu un’epoca di vera e propria esaltazione del sapere umano, portando al centro dell’attenzione l’idea di progresso; intendeva infatti esaltare il reale, il pratico, il metafisico, l’effettivo e lo sperimentale.
La corrente permeò gran parte della cultura del secondo Ottocento, sino alla cosiddetta “Belle èpoque” (età a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento) in cui ogni cosa sembrava ad andare per il meglio.
Successivamente, il progresso riscontrò delle problematiche in quanto sorsero conflitti nella politica e nella società, culminati nella catastrofica guerra mondiale.

La filosofia del Positivismo

Il termine Positivismo venne utilizzato per la prima volta nel 1820 dal francese Claude-Henry de Saint-Simon; lo stesso Saint-Simone utilizzò anche il termine “filosofia positiva”, per indicare il nuovo sapere che avrebbe dovuto caratterizzare la società europea.

Per approfondire

Il francese Auguste Comte, nel corso della filosofia positiva, elaborò tre fasi di sviluppo per le quali, a parere suo, era passata l’umanità:

  • in una prima fase teologica, gli uomini avevano una visione del mondo come prodotto di prìncipi soprannaturali;
  • la fase metafisica, dominata dai prìncipi razionali, ma non basati sull’osservazione dei fenomeni;
  • nell’ultima, fase positiva, gli uomini non si ponevano più interrogativi sull’inconoscibile, ma iniziarono ad indagare in che modo determinati fenomeni si manifestavano.

Sulla base di queste fasi, Comte organizzò tutte le scienze in un sistema generale, al cui vertice era collocata la sociologia in quanto la società considerata come realtà complessa; la realtà società, secondo l’idea tipica del Positivismo, era analizzabile con metodi scientifici, proprio come la realtà naturale.
La svolta più significativa, in ambito scientifico, della cultura positivistica, si ebbe con la “teoria dell’evoluzione” di Charles Darwin.
Il termine evoluzione significa “svolgimento” – “sviluppo” e indica il processo che ha trasformato le forme di vita presenti sulla Terra miliardi di anni fa (organismi semplici) a un vario numero di specie (le specie attualmente esistenti).
Darwin studiò i fenomeni in esemplari di rocce, flora e fauna, e nel suo trattato L’origine delle specie espose la sua teoria, basata sul principio di selezione naturale.
Darwin, dunque, criticava il “creazionismo”, affermando che la specie non era frutto della creazione divina.

 

Naturalismo

Il Naturalismo è la nuova corrente culturale nata in Francia intorno al 1865-70; non rappresentava una novità assoluta in quanto si basava sul tronco del romanzo realista di Balzac e Dickens. Il massimo esponente fu Émile Zola. Il movimento si diffuse rapidamente e per un ventennio divenne la massima tendenza letteraria in tutta Europa.
Il Naturalismo esprimeva l’attenzione per la realtà e per il “vero”; adottò il romanzo come “opera d’arte”, poiché capace di analizzare in maniera oggettiva e scientifica la realtà. Parallelamente al romanzo ci fu la novella, definita “bozzetto” dagli stessi naturalisti, un racconto breve che metteva alla luce una condizione umana in un determinato ambiente sociale.
Secondo Zola, il romanziere ha un compito analogo a quello dello scienziato poiché deve osservare la realtà e condurre esperimenti su di essa, scomponendo i fatti per poi ricostruire il loro meccanismo psicologico.

Per approfondire

La realtà umana e sociale doveva essere rappresentata in modo rigoroso e i “fatti” dovevano essere narrati in maniera impersonale: ogni giudizio personale doveva essere eliminato. L’autore, inoltre, doveva utilizzare un linguaggio semplice e diretto.

Verismo

Anche in Italia si affermò un movimento letterario: il Verismo; tale corrente si affermò sull’esempio del Naturalismo francese.

Il maggiore teorico del movimento fu Luigi Capuana, che divulgò l’esperienza di Zola e dei naturalisti con molti articoli e saggi critici, nei quali sottolineava l’autonomia dell’arte rispetto alla scienza.
Il più grande e autentico narratore del Verismo italiano, però, fu il siciliano Giovanni Verga.
Verga, inizialmente, scrisse romanzi tardo-risorgimentali, ambientati nell’alta società borghese (Storia di una capinera). Il cambiamento dell’autore si ebbe in un secondo tempo, quando si convertì al Verismo; egli pubblicò il bozzetto “Nedda”, ambientato nelle campagne siciliane.
Verga ottenne la vera conquista del Verismo nella raccolta “Vita dei campi” e dunque con i suoi due grandi capolavori: “I Malavoglia” e “Mastro-don Gesualdo”.

Per approfondire

Verga diede altresì dei contributi teorici:

  • il primo lo troviamo nella novella “Fantasticheria” in cui si manifesta l’intenzione di raccontare il dramma di “uno di quei piccoli” che si allontana dal paese al fine della “vaghezza” dell’ignoto;
  • il secondo nella lettera all’amico Salvatore Farina: Verga cercò di teorizzare il desiderio di narrare il “fatto nudo e schietto”;
  • infine nella “Prefazione dei Malavoglia” in cui Verga tracciava il programma di un ciclo di romanzi, il “Ciclo dei vinti” (avrebbero dovuto essere quattro romanzi, ma l’autore ne portò a termine solamente due: I Malavoglia e Mastro-don Gesualdo). In questa prefazione, la dottrina positivistica dell’evoluzione si colora di negatività.

È questo pessimismo verghiano che differenzia il Verismo dal Naturalismo francese:

  • Zola racconta vicende ambientate nelle grandi città industriali (proletariato urbano) con la convinzione di indirizzare il progresso verso esiti positivi;
  • Verga non crede più al progresso con esiti positivi: il suo mondo “delle campagne” appare chiuso di fronte ad una forma di prospettiva “positiva”

Il terzo autore del Verismo fu il siciliano Federico De Roberto, amico di Verga che, nel 1894, pubblicò il romanzo “I Viceré”, ambientato a Catania, nel passaggio dal governo borbonico all’Italia unita.

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