L’accento grave e l’accento acuto

di Erik Lazzari

L’accento grave e l’accento acuto

Nell’italiano scritto, ricco di sfumature e sfaccettature, esistono due tipologie di accento: l’accento grave (ˋ) e l’accento acuto (´); questi giocano un ruolo fondamentale nella fonetica e nel significato delle parole, oltre ad essere di notevole rilievo per una questione stilistica.

Spesso si utilizza un accento a “barchetta” / “cunetta arrotondata”, un errore comunemente trascurato perché spesso non corretto.

Nell’era digitale, si osserva questa variazione di accenti in messaggi, post e commenti sui social poiché i dispositivi informatici suggeriscono automaticamente la forma accentata corretta. Tale distinzione emerge anche nei libri.

Posto che in classe spesso mi ritrovo a correggere l’uso scorretto degli accenti nelle verifiche e nei temi, dedico sempre del tempo per spiegare ai miei alunni la differenza, in modo che evitino questo errore ortografico.

 Accento grave

Nella maggior parte delle parole l’accento è grave (ˋ).  Si utilizza l’accento grave quando la vocale si pronuncia aperta: caffè, farò, cioè, però, etc.

Vogliono sempre l’accento grave:

  • la terza persona singolare dell’indicativo presente del verbo essere (è);
  • le parole tronche, (nelle parole tronche l’accento cade sull’ultima sillaba) che terminano in a, i, u [già, giù, più, lassù, sì (avverbio di affermazione), dì, dà (terza persona singolare dell’indicativo presente del verbo dare), là, lì]. La distinzione tra accento grave e acuto vale solamente per le vocali e / o, per le altre l’accento è sempre grave;
  • i monosillabi ciò, tè, può.
  • I composti dei monosillabi “blu” (rossoblù).

Accento acuto

L’accento è acuto quando la vocale si pronuncia chiusa. Richiedono sempre questo accento:

  • i composti di “che” (affinché, alcunché, benché, cosicché, finché, giacché, nonché, perché, poiché, purché, sicché);
  • i composti di tre (ventitré, trentatré, quarantatré, etc.);
  • l’avverbio di negazione né (non è né grande né piccolo);
  • il pronome personale sé (chi fa da sé fa per tre);
  • i composti dei monosillabi “re” (viceré);
  • le terze persone singolari del passato remoto di alcuni verbi, tra cui, ad esempio, potere, battere, combattere (poté, batté, combatté).

Per ricordare meglio la distinzione, pensate all’accento acuto come un aereo che decolla e a quello grave come un aereo che atterra.  

Non tutte le parole richiedono l’accento

Alcuni termini, sebbene la loro pronuncia possa ingannare, non necessitano dell’accento:

  • il monosillabo po’ richiede l’apocope;
  • il pronome sé quando seguito da stesso (oggigiorno è corretto sia scrivere se stesso che sé stesso. Personalmente preferisco la prima forma);
  • gli imperativi (va’ a studiare gli accenti!);
  • i monosillabi con una sola vocale, ad eccezione di quelli precedentemente analizzati. Do, fa e fu non sono accentati.

 

Sì o si, quale forma è corretta?

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE

Continuando la navigazione accetti l'utilizzo dei cookie, per maggiori informazioni visita la cookie policy

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Privacy Policy


Cookie Policy

Chiudi